Serata di racconti - Gennaio 2011




Cari amici, ecco il blog di nuovo in funzione.

Vi metto qui di seguito una prima traccia della serata, con i materiali che per ora mi pare si possano utilizzare. Le parti che non sono di Baliani le ho scritte io e possono essere una traccia per chi porterà quella parte.

Penso che la cosa migliore sarà dividersi le parti, siano esse testo, poesia o racconti, portando coralmente tutto il percorso.

Magari la poesia della pietra si può fare a due voci.

Quando avremo messo tutti i materiali valuteremo la durata. Ovviamente le cose che avevate proposto e che io non ho inserito non sono escluse: il percorso è ancora un work in progress in cui possiamo andare ancora un po' a ruota libera.

mercoledì 25 maggio 2011

NUOVA TRACCIA 25/5

CAMBIARE GLI OCCHIALI CON CUI GUARDIAMO IL MONDO
musica: effetti sonori spiaggia 3
ISA
Una sera d'estate, percorro la via odorosa di pitosforo e rosmarino, che conduce sin quasi al bordo del mare.
Cri Cri ecco i grilli! ci sono ancora!
Sembrano aspettarmi ogni sera, di ogni estate. Ssst! son lì, nascosti, tra l’erica e i cespugli d’acacia (il lentisco). 
(5 sec)
Il mare...Voglio toccare l'acqua del mare, con questa luna piena ci si può specchiare dentro!
Tolgo le scarpe e cammino a piedi nudi sulla sabbia umida... sembra scricchiolare mentre le dita affondano. (10 sec.)
l'acqua è silenziosa e mi da il benvenuto.
Sssst, silenzio!
Chiudete gli occhi! Provate anche voi ad ascoltare, 
sentite? cosa vedete ora? 
MARILENA
Non essendo che uomini, camminavano tra gli alberi
Spauriti, pronunciando sillabe sommesse
Per timore di svegliare le cornacchie,
Per timore di entrare
Senza rumore in un mondo di ali e di stridi.
FRANCESCA
Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,
Sorprendere nel sonno le cornacchie, senza spezzare un rametto,
E, dopo l'agile ascesa, 
Cacciare la testa al di sopra dei rami
Per ammirare stupiti le immancabili stelle.
Dalla confusione, come al solito,
E dallo stupore che l'uomo conosce,
dal caos verrebbe la beatitudine.
Questa, dunque, è leggiadria, dicevamo,
Bambini che guardano con stupore le stelle,
È lo scopo e la conclusione.
MARILENA
Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi.
                                                           Dylan Thomas
BRIGIDA
Cos'è lo stupore? Quando accade? Come ci raggiunge?
È qualcosa che viene dal di fuori o siamo noi a farlo nascere in noi stessi? Le stelle sono lì da sempre e sempre saranno, sono "immancabili". Cosa le rende capaci in certi momenti di generare in noi lo stupore?
MARILENA
Nella poesia di Dylan Thomas sembra che occorra un'avventura per scoprire lo stupore.
Forse occorre arrampicarsi su un albero di notte, 
far silenzio nel mondo degli uccelli, 
e solo dopo che la testa spunta tra i rami 
ecco lo stupore che le stelle sono ancora lì ad aspettarmi. 
BRIGIDA
Tutte le cose del mondo ritornano in un grande ciclo che non ha mai termine, 
tornano le stelle, 
il sole nasce e scompare, 
la luna si gonfia e si svuota, 
il mare torna alla riva.
E i bambini riescono ancora a stupirsi che le cose ritornino, come le "immancabili stelle". 
Gli adulti invece non fanno che continuare a camminare sotto gli alberi. 
Gli adulti han perso il gusto di arrampicarsi. 
I loro corpi sono troppo pesanti. 
Forse son pieni di altri pensieri che credono più importanti, 
e danno per scontato che le stelle comunque riappaiano, 
e così evitano di vederle e sentirle e lo stupore si perde, non lo si coltiva più. 
musica: D'un pas si facile 2:28 René Aubry Invités sur la terre
FRANCESCA
«Quando arrivavo in montagna per le vacanze estive, appena mi lasciavano libera andavo all’altalena vicino alla grande quercia.
Era un rito. Avevo bisogno di essere sola (se c’era qualcuno aspettavo che se ne andasse).
L’altalena era una struttura robusta e senza fronzoli, ma alta alta, con un seggiolino di legno e due lunghissime catene di ferro.
Già sedendomi mi potevo accorgere se ero cresciuta rispetto all’anno precedente.
Spingendo con i piedi  e controllando il movimento con tutto il corpo, potevo riuscire ad oscillare fino al punto da avere quasi paura.
Appena raggiungevo un certo ritmo cominciavo a godermi il calore del sole di montagna e l’aria fresca sulla pelle, il profumo del fieno e il cigolio della catena.
Poco prima di arrivare al punto più alto, buttavo indietro la testa, spingevo in avanti le gambe e trattenevo il respiro 
e quando arrivavo in alto
con i piedi toccavo le nuvole e la punta del pizzo Ragno che si stagliava contro il cielo azzurro proprio di fronte a me
e sentivo che il prato, la quercia, la montagna, l’altalena e la bambina si erano ritrovati
e tutto era lì per me e con me».
VALENTINA
Marco Baliani, attore e regista, ha esplorato questa esperienza dello stupore come condizione per “vedere” il mondo.
«Tempo fa - racconta - ero a Palermo per partecipare ad un meeting sulla narrazione orale e sull'incontro tra culture diverse. Ogni pomeriggio c'era un gruppo di narratori che portava un racconto-esperienza. 
Mi ricordo un'india peruviana di nome Maria, piccola di statura, immigrata da anni in Sicilia e ora pronta a tornare nelle proprie terre: toccava a lei narrare. 
Sembrava sopraffatta dall'emozione.
Maria cerca di cominciare, ma le labbra le tremano. Allora si ferma. Dice “scusatemi” e in totale concentrazione comincia a cantare rivolgendosi ai quattro punti cardinali. 
musica 4 direction song Flute
ELENA
Guarda verso l’Ovest
Il  Grande Padre sta guardando là
Pregalo, pregalo!
E' assiso là e guarda in quella direzione!
Guarda verso il Nord
Il Grande Padre sta guardando là
Pregalo, pregalo!
E' assiso là e guarda in quella direzione!
Guarda verso l’Est
Il Grande Padre sta guardando là
Pregalo, pregalo!
E' assiso là e guarda in quella direzione!
Guarda verso il Sud
Il Grande Padre sta guardando là
Pregalo, pregalo!
E' assiso là e guarda in quella direzione!
Guarda verso il Cielo
Il Grande Spirito è sopra di noi
Pregalo, pregalo!
E' assiso là e guarda in quella direzione!
Guarda verso la Terra
La Grande Madre sta sotto di noi
Pregala, pregala!
Ella dimora ascoltando le tue preghiere!
VALENTINA
Quel canto, per il breve tempo della sua durata, era come se aprisse lo spazio: qualcosa vicino allo stupore più puro.
Poi comincia a raccontare. Era la storia di un suo viaggio da bambina, col padre, fino alle montagne, dove per la prima volta aveva visto la neve. Non ricordo tutta la storia, ma mi aveva colpito ad un certo punto l'immagine della nonna india che raccomandava a lei bambina di chiedere il permesso agli alberi prima di coricarsi a dormire nella foresta.
AGOSTINO
Chieder permesso alle cose del mondo.
Presso molti popoli e culture le cose sono dotate di anima: prima di spostare un sasso occorre chiedere permesso al sasso e ascoltare la sua risposta. Così prima di abbattere un albero, di uccidere un animale. 
Sono culture che noi chiamiamo primitive, infantili; credono che il mondo stia lì da molto tempo prima di noi e che resterà così anche dopo di noi; che noi siamo solo di passaggio e che cambiare l'ordine del mondo, anche una cosa così piccola come una pietra, richieda una preghiera, comunque un permesso.
Ma noi non sappiamo più come chiedere permesso alle pietre e la sola idea ci fa sorridere di superiorità come si sorride delle credenze animistiche di un bambino.
campanello tibetano
CONVERSAZIONE CON UNA PIETRA
Wislawa Szymborska (da “Sale” 1962)
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Voglio venirti dentro,
dare un'occhiata,
respirarti come l'aria.
DOMENICO
- Vattene - dice la pietra.
- Sono ermeticamente chiusa.
Anche fatte a pezzi
saremo chiuse ermeticamente.
Anche ridotte in polvere
non faremo entrare nessuno.
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Vengo per pura curiosità.
La vita è la sua unica occasione.
Vorrei girare per il tuo palazzo,
e visitare poi anche la foglia e la goccia d'acqua.
Ho poco tempo per farlo.
La mia mortalità dovrebbe commuoverti.
DOMENICO
- Sono di pietra - dice la pietra
- E devo restare seria per forza.
Vattene via.
Non ho i muscoli per ridere.
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Dicono che in te ci sono grandi sale vuote,
mai viste, belle invano,
sorde, senza l'eco di alcun passo.
Ammetti che tu stessa ne sai poco.
DOMENICO
- Sale grandi e vuote - dice la pietra
- Ma in esse non c'è spazio.
Belle, può darsi, ma al di là del gusto
dei tuoi poveri sensi.
Puoi conoscermi, però mai fino in fondo.
Con tutta la superficie mi rivolgo a te,
ma tutto il mio interno è girato altrove.
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Non cerco in te un rifugio per l'eternità.
Non sono infelice.
Non sono senza casa.
Il mio mondo è degno di ritorno.
Entrerò e uscirò a mani vuote.
E come prova d'esserci davvero stata
porterò solo parole,
a cui nessuno presterà fede.
DOMENICO
- Non entrerai - dice la pietra.-
Ti manca il senso del partecipare.
Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare.
Anche una vista affilata fino all'onniveggenza
a nulla ti servirà senza il senso del partecipare.
Non entrerai, non hai che un senso di quel senso,
appena un germe, solo una parvenza.
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Non posso attendere duemila secoli
per entrare sotto il tuo tetto.
DOMENICO
- Se non mi credi - dice la pietra-
rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa.
Chiedi a una goccia d'acqua, dirà come la foglia.
Chiedi infine a un capello della tua testa.
Scoppio dal ridere, d'una immensa risata
che non so far scoppiare.
ELISABETTA
Busso alla porta della pietra.
  • Sono io, fammi entrare.
DOMENICO
  • Non ho porta - dice la pietra.
musica"Chants Sacres Melchites" Hymne À La Vierge "inna-I Malak"
ELENA
E’ come se avessimo smarrito la capacità di entrare in mondi che crediamo di conoscere, perché li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
La nostra cultura scientifica ha analizzato, catalogato e studiato tutto il mondo visibile.
Ma abbiamo smarrito la capacità di vedere oltre il visibile, e quindi tutto il mondo ci sembra opaco.
Allora stanchi di vedere le solite cose facciamo dei viaggi in paesi che vediamo distrattamente, condotti da una guida che ci riempie la testa e le orecchie di date, di dati,  di informazioni, e non ci lascia neppure il tempo di fermarci un momento... 
musica: guida turistica Sainte Chapelle
VALENTINA
La Sainte Chapelle, quella che sta nel Palais de Justice di Parigi, con le sue pareti di luce. 
musica??? "Campus Stellae" Codex Calistinus ("Judicii Signum") 8:48 Diapasons d'Or 
Quale intuizione divina ha guidato un uomo a immaginare la Sainte Chapelle?
Vetrate dai mille colori che raccontano le storie dell’antico e del nuovo testamento: una cattedrale imponente fatta di aria, di pura vibrazione di colore. Che quando entri ti toglie il fiato. Ti lascia lì, piccolo uomo avvolto da questo grande palpito.
Ma non c’è tempo di farsi domande, la guida è già ripartita e rischiamo di perdere il gruppo. 
ELENA
Torniamo con souvenir e centinaia di foto con le quali cerchiamo di portarci via qualcosa di quei mondi che per noi continuano a restare estranei e incomprensibili.
Poi organizziamo una serata in cui mostriamo le nostre cinquecento diapositive agli amici - a chi non è capitato (di far parte degli amici, intendo dire).
E le foto mostrano ma non parlano.
E i nostri amici sopraffatti, affondano nel divano...
 E il mondo che ci circonda diventa sempre più opaco.
Ci sembrava, andando lontano, che le meraviglie del mondo ci sarebbero venute incontro, ma se non ci alleniamo a provare stupore, anche delle cose vicine e conosciute, il mondo resterà muto.
musica: campanello tibetano
ISA
I due sognatori
Nella città persiana di Isfahan, viveva un tempo un contadino poverissimo. Come unico bene possedeva un’umile casetta bassa del colore della terra riarsa dal sole, davanti alla quale si stendeva un campo sassoso, alla cui estremità c’erano una fonte e un fico che costituivano tutta la sua ricchezza.
Quest’uomo, che lavorava molto per raccogliere poco, quando la meridiana stinta sulla facciata della sua casupola indicava il mezzogiorno, soleva fare la siesta all’ombra del suo fico. Un giorno, addormentatosi con la nuca contro il tronco del suo albero, fece un bel sogno. Gli pareva di camminare in una città popolosa, vasta, magnifica. Lungo il vicolo che percorreva indolentemente c’erano botteghe traboccanti di frutta e di spezie, di rami e di tessuti variopinti. In lontananza, contro il cielo azzurro, si innalzavano minareti, cupole, palazzi dorati. Il nostro uomo, contemplando in estasi quelle ricchezze, quelle bellezze e i volti affabili della folla circostante, giunse presto, nella luce e nella facilità di quel sogno benedetto, in riva a un fiume attraversato da un ponte di pietra. Avvicinatosi al ponte, si fermò di colpo, incantato: ai piedi del primo paracarro si trovava uno straordinario tesoro di monete d’oro e di pietre preziose in un grande forziere aperto. Udì allora una voce che gli disse:
- Ti trovi nella grande città egiziana del Cairo. Questi beni, amico, sono destinati a te.
Si erano appena accese tali parole nella sua mente che si svegliò sotto il suo fico, a Isfahan. Il contadino pensò subito che Allah lo amasse e desiderasse arricchirlo.« In verità, penso, questo sogno non può essere che il frutto della sua indulgente bontà. » Racchiuse in un fagotto le sue poche cose, nascose la chiave della sua casupola fra due pietre del muro e partì subito alla volta della terra d’Egitto per cercare il tesoro promesso.
Il viaggio fu lungo e rischioso, ma per grazia naturale il contadino aveva il piede saldo e una salute di ferro. Incontrò briganti, animali selvaggi, trappole lungo strada, e dopo tre settimane giunse finalmente alla grande città del Cairo, che era esattamente come l’aveva veduta in sogno.
Camminò negli stessi vicoli fra la stessa folla indolente, passando accanto alle stesse botteghe traboccanti di tutti i beni del mondo. Si lasciò guidare dagli stessi minareti, che si stagliavano in lontananza contro il cielo limpido. Arrivò così in riva allo stesso fiume attraversato dallo stesso ponte di pietra. All’entrata del ponte si trovava lo stesso paracarro. Lo raggiunse di corsa con le mani già protese alla ricchezza... ma lì non c’era che un mendicante, che gli tese la mano per chiedere un tozzo di pane. Del tesoro non c’era la minima traccia.
Allora il nostro inseguitore di sogni, allo stremo delle forze e delle risorse, si disperò.
« A che serve vivere ormai, si disse. In questo mondo non può capitarmi più nulla di auspicabile. » Con il volto inondato di lacrime, scavalcò il parapetto, deciso a gettarsi nel fiume. Il mendicante lo trattenne per un piede, lo riportò sul selciato del ponte, lo prese per le spalle e gli disse:
– Perché vuoi morire, povero sciocco, con un tempo così bello?
L’altro, singhiozzando, gli raccontò tutto: il suo sogno, il suo lungo viaggio, la sua speranza di trovare un tesoro. Allora il
mendicante si mise a ridere fragorosamente, si picchiò la fronte con il palmo della mano e, indicandolo all’intorno come un gran buffone, disse:
– Ecco il più grande idiota della terra. Che follia avere intrapreso un viaggio così pericoloso prestando fede a un sogno!
Mi credevo povero di spirito, ma, in confronto a te, mi sento saggio come un santo derviscio. Io che ti parlo, tutte le notti, da anni, sogno di trovarmi in una città sconosciuta. Il suo nome è, credo, Isfahan. In quella città. c’e una casupola colore della terra riarsa dal sole, dalla facciata modestamente ornata da una meridiana stinta. Davanti a tale abitazione si stende un campo sassoso, in fondo al quale si trovano una fonte e un fico.
Tutte le notti, nel mio sogno, scavo una buca profonda ai piedi di quel fico e scopro un forziere colmo fino all’orlo di monete d’oro e di pietre preziose. Mi sono mai sognato di rincorrere quel miraggio? No. Sono un uomo ragionevole, io. Sono rimasto a mendicare tranquillamente il mio pasto su questo ponte di grande passaggio.I sogni sono menzogneri, dice il proverbio. Saresti dovuto rimanere dove ti ha messo Dio. Va’, medita, e in futuro
sii meno ingenuo, vivrai meglio.
Il contadino, dalla descrizione fatta, riconobbe la sua casa e il suo fico. Con il volto a un tratto illuminato, abbracciò il mendicante sbalordito da quell’accesso improvviso di entusiasmo e ritornò a Isfahan di corsa, saltellando come un uomo pervaso da una gioia inesauribile.
Arrivato a casa, senza nemmeno aprire la porta, afferrò una zappa, scavò una grande buca ai piedi del fico e in fondo alla buca scoprì un immenso tesoro.
Allora, prosternandosi, disse:
– Dio è grande e io sono suo figlio.
Così finisce la storia.
AGOSTINO
Vedere oltre il visibile dicevamo... Come facciamo a lasciarci stupire da cose apparentemente insignificanti? A trovare le chiavi per “vedere”? E scoprire che il tesoro è nel nostro giardino?
Tonino Guerra, scrittore e uno dei più importanti sceneggiatori del cinema italiano racconta:
L' ultima lezione di sceneggiatura che ho tenuto a Mosca era sulla differenza tra guardare e vedere. Allora mi è venuto in mente un fatto che mi è successo. Faccio fermare la macchina su cui ero perché vedo una panchina, mi voglio avvicinare. Era una panchina di ferro diventata verde, piena di muschio. Ho cominciato a capire perché: la trattoria davanti era chiusa, nel giardinetto non andava più nessuno, la panchina soffriva di solitudine. E allora mi sono seduto e l' ho fatta lavorare. Ho voluto darle un po' di valore: solo allora stavo vedendo, prima guardavo.
MARILENA
Anche Tiziano Terzani in una delle sue ultime conversazioni ci parla di meraviglia:
Se dal nostro prato guardi questa valle meravigliosa e intatta, capisci che è stata una sponda che mi ha aiutato ad avere quello che io ho sempre cercato: un altro punto di vista.
Per me l'Orsigna è questo.  Questa è la mia Himalaya. Qui, in questo posto dove sono arrivato da bambino, ho sentito la magia della vita in generale e la magia della natura. Con la modernità, la magia retrocede, ma rimane in qualche modo negli alberi, nelle foreste, nei tramonti quando il sole cala dietro alla Pedata del Diavolo.
Mi piacerebbe vedere che i miei nipoti vivono in un mondo di cui si sorprendono, in cui c'è dovunque qualcosa di meraviglioso da osservare. 
Ieri sera ho visto la prima lucciola e sono stato lì, a guardarla. Nel buio della notte la vedevo fare ti-ti-ti...
Una gioia ti piglia! Mi ricordo di quante storie i miei mi raccontavano sulle lucciole quando ero piccolo. Dicevano che se ne acchiappavi una e la mettevi sotto il bicchiere, la mattina dopo ci trovavi una monetina. 
Loro ce la mettevano, la monetina, e il mio mondo si arricchiva. Allora, perché ai miei nipoti non far vedere le lucciole perché si stupiscano della meraviglia del mondo?
La natura gli si anima, la vita gli si arricchisce, vive in più dimensioni. Altro che la televisione e andiamo a mangiare la pizzettina!. 
Noi viviamo vite troppo di corsa, troppo piene di stimoli, continuamente distratti dal lavoro, dal telefono, la televisione, i giornali, non ci fermiamo mai. Chi si prende più degli spazi vuoti, del tempo per il silenzio? 
Sarebbe così semplice dire « Fermi tutti. Stasera si va a vedere le lucciole! »
Sei tu, tu che puoi scegliere!
Onestamente questo mondo è una meraviglia. Non c'è niente da fare, è una meraviglia. E se riesci a sentirti parte di questa meraviglia — ma non tu, con i tuoi due occhi e i tuoi due piedi; se Tu, questa essenza di te, sente d'essere parte di questa meraviglia - ma che vuoi di più, che vuoi di più? Una macchina nuova?
TIZIANO TERZANI
La mia fine è il mio inizio, pag. 373)

domenica 22 maggio 2011

NUOVA TRACCIA 19/5

cambiare gli occhiali con cui guardiamo il mondo
(15 sec)
Una sera d'estate, percorro la via odorosa di pitosforo e rosmarino, che conduce sin quasi al bordo del mare.
Cri Cri ecco i grilli! ci sono ancora!
Sembrano aspettarmi ogni sera, di ogni estate. Ssst! son lì, nascosti, tra l’erica e i cespugli d’acacia (il lentisco). 
(5 sec)
Il mare...Voglio toccare l'acqua del mare, con questa luna piena ci si può specchiare dentro!
Tolgo le scarpe e cammino a piedi nudi sulla sabbia umida... sembra scricchiolare mentre le dita affondano. (10 sec.)
l'acqua è silenziosa e mi da il benvenuto.
Sssst, silenzio!
Chiudete gli occhi! Provate anche voi ad ascoltare, 
sentite? cosa vedete ora? 
Non essendo che uomini, camminavano tra gli alberi
Spauriti, pronunciando sillabe sommesse
Per timore di svegliare le cornacchie,
Per timore di entrare
Senza rumore in un mondo di ali e di stridi.
Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,
Sorprendere nel sonno le cornacchie, senza spezzare un rametto,
E, dopo l'agile ascesa, Cacciare la testa al di sopra dei rami
Per ammirare stupiti le immancabili stelle.
Dalla confusione, come al solito,
E dallo stupore che l'uomo conosce,
dal caos verrebbe la beatitudine.
Questa, dunque, è leggiadria, dicevamo,
Bambini che guardano con stupore le stelle,
È lo scopo e la conclusione.
Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi.
Dylan Thomas
Cos'è lo stupore? Quando accade? Come ci raggiunge?
È qualcosa che viene dal di fuori o siamo noi a farlo nascere in noi stessi? Le stelle sono lì da sempre e sempre saranno, sono "immancabili". Cosa le rende capaci in certi momenti di generare in noi lo stupore?
Nella poesia di Dylan Thomas sembra che occorra un'avventura per scoprire lo stupore.
Forse occorre arrampicarsi su un albero di notte, 
far silenzio nel mondo degli uccelli, 
e solo dopo che la testa spunta tra i rami 
ecco lo stupore che le stelle sono ancora lì ad aspettarmi. 
Tutte le cose del mondo ritornano in un grande ciclo che non ha mai termine, 
tornano le stelle, 
il sole nasce e scompare, 
la luna si gonfia e si svuota, 
il mare torna alla riva.
E i bambini riescono ancora a stupirsi che le cose ritornino, come le "immancabili stelle". 
Gli adulti invece non fanno che continuare a camminare sotto gli alberi. 
Gli adulti han perso il gusto di arrampicarsi. 
I loro corpi sono troppo pesanti. 
Forse son pieni di altri pensieri che credono più importanti, 
e danno per scontato che le stelle comunque riappaiano, 
e così evitano di vederle e sentirle e lo stupore si perde, non lo si coltiva più. 
Francesca
«Quando arrivavo in montagna per le vacanze estive, appena mi lasciavano libera andavo all’altalena vicino alla grande quercia.
Era un rito. Avevo bisogno di essere sola (se c’era qualcuno aspettavo che se ne andasse).
L’altalena era una struttura robusta e senza fronzoli, ma alta alta, con un seggiolino di legno e due lunghissime catene di ferro.
Già sedendomi mi potevo accorgere se ero cresciuta rispetto all’anno precedente.
Spingendo con i piedi  e controllando il movimento con tutto il corpo, potevo riuscire ad oscillare fino al punto da avere quasi paura.
Appena raggiungevo un certo ritmo cominciavo a godermi il calore del sole di montagna e l’aria fresca sulla pelle, il profumo del fieno e il cigolio della catena.
Poco prima di arrivare al punto più alto, buttavo indietro la testa, spingevo in avanti le gambe e trattenevo il respiro 
e quando arrivavo in alto
con i piedi toccavo le nuvole e la punta del pizzo Ragno che si stagliava contro il cielo azzurro proprio di fronte a me
e sentivo che il prato, la quercia, la montagna, l’altalena e la bambina si erano ritrovati
e tutto era lì per me e con me».
Marco Baliani, attore e regista, ha esplorato questa esperienza dello stupore come condizione per “vedere” il mondo.
«Tempo fa - racconta - ero a Palermo per partecipare ad un meeting sulla narrazione orale e sull'incontro tra culture diverse. Ogni pomeriggio c'era un gruppo di narratori che portava un racconto-esperienza. 
Mi ricordo un'india peruviana di nome Maria, piccola di statura, immigrata da anni in Sicilia e ora pronta a tornare nelle proprie terre: toccava a lei narrare. 
Sembrava sopraffatta dall'emozione.
Maria cerca di cominciare, ma le labbra le tremano. Allora si ferma. Dice “scusatemi” e in totale concentrazione comincia a cantare rivolgendosi ai quattro punti cardinali. 
musica
Look towards the West
Your Grandfather is looking this way
Pray to Him, pray to Him!
He is sitting there looking this way!
Look towards the North
Your Grandfather is looking this way
Pray to Him, pray to Him!
He is sitting there looking this way!
Look towards the East
Your Grandfather is looking this way
Pray to Him, pray to Him!
He is sitting there looking this way!
Look towards the South
Your Grandfather is looking this way
Pray to Him, pray to Him!
He is sitting there looking this way!
Look upwards
Great Spirit sits above us 
Pray to Him, pray to Him!
He is sitting there looking this way!
Look towards the Earth
Your Grandmother lies beneath us
Pray to Her, pray to Her!
She is laying there listening to your Prayers!
Quel canto, per il breve tempo della sua durata, era come se aprisse lo spazio: qualcosa vicino allo stupore più puro.
Poi comincia a raccontare. Era la storia di un suo viaggio da bambina, col padre, fino alle montagne, dove per la prima volta aveva visto la neve. Non ricordo tutta la storia, ma mi aveva colpito ad un certo punto l'immagine della nonna india che raccomandava a lei bambina di chiedere il permesso agli alberi prima di coricarsi a dormire nella foresta.
Chieder permesso alle cose del mondo.
Presso molti popoli e culture le cose sono dotate di anima: prima di spostare un sasso occorre chiedere permesso al sasso e ascoltare la sua risposta. Così prima di abbattere un albero, di uccidere un animale. 
Sono culture che noi chiamiamo primitive, infantili; credono che il mondo stia lì da molto tempo prima di noi e che resterà così anche dopo di noi; che noi siamo solo di passaggio e che cambiare l'ordine del mondo, anche una cosa così piccola come una pietra, richieda una preghiera, comunque un permesso.
Ma noi non sappiamo più come chiedere permesso alle pietre e la sola idea ci fa sorridere di superiorità come si sorride delle credenze animistiche di un bambino.
CONVERSAZIONE CON UNA PIETRA Wislawa Szymborska (da “Sale” 1962)
Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Voglio venirti dentro,
dare un'occhiata,
respirarti come l'aria.
- Vattene - dice la pietra.
- Sono ermeticamente chiusa.
Anche fatte a pezzi
saremo chiuse ermeticamente.
Anche ridotte in polvere
non faremo entrare nessuno.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Vengo per pura curiosità.
La vita è la sua unica occasione.
Vorrei girare per il tuo palazzo,
e visitare poi anche la foglia e la goccia d'acqua.
Ho poco tempo per farlo.
La mia mortalità dovrebbe commuoverti.
- Sono di pietra - dice la pietra
- E devo restare seria per forza.
Vattene via.
Non ho i muscoli per ridere.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Dicono che in te ci sono grandi sale vuote,
mai viste, belle invano,
sorde, senza l'eco di alcun passo.
Ammetti che tu stessa ne sai poco.
- Sale grandi e vuote - dice la pietra
- Ma in esse non c'è spazio.
Belle, può darsi, ma al di là del gusto
dei tuoi poveri sensi.
Puoi conoscermi, però mai fino in fondo.
Con tutta la superficie mi rivolgo a te,
ma tutto il mio interno è girato altrove.
Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Non cerco in te un rifugio per l'eternità.
Non sono infelice.
Non sono senza casa.
Il mio mondo è degno di ritorno.
Entrerò e uscirò a mani vuote.
E come prova d'esserci davvero stata
porterò solo parole,
a cui nessuno presterà fede.
- Non entrerai - dice la pietra.-
Ti manca il senso del partecipare.
Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare.
Anche una vista affilata fino all'onniveggenza
a nulla ti servirà senza il senso del partecipare.
Non entrerai, non hai che un senso di quel senso,
appena un germe, solo una parvenza.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Non posso attendere duemila secoli
per entrare sotto il tuo tetto.
- Se non mi credi - dice la pietra-
rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa.
Chiedi a una goccia d'acqua, dirà come la foglia.
Chiedi infine a un capello della tua testa.
Scoppio dal ridere, d'una immensa risata
che non so far scoppiare.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
  • Non ho porta - dice la pietra.
musica
E’ come se avessimo smarrito la capacità di entrare in mondi che crediamo di conoscere, perché li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
La nostra cultura scientifica ha analizzato, catalogato e studiato tutto il mondo visibile.
Ma abbiamo smarrito la capacità di vedere oltre il visibile, e quindi tutto il mondo ci sembra opaco.
Allora stanchi di vedere le solite cose facciamo dei viaggi in paesi che vediamo distrattamente, condotti da una guida che ci riempie la testa e le orecchie di date, di dati,  di informazioni, e non ci lascia neppure il tempo di fermarci un momento... 
GUIDA TURISTICA
La Sainte Chapelle, quella che sta nel Palais de Justice di Parigi, con le sue pareti di luce. 
quale intuizione divina ha guidato un uomo a immaginare la Sainte Chapelle?
Vetrate dai mille colori che raccontano le storie dell’antico e del nuovo testamento: una cattedrale imponente fatta di aria, di pura vibrazione di colore. Che quando entri ti toglie il fiato. Ti lascia lì, piccolo uomo avvolto da questo grande palpito.
Ma non c’è tempo di farsi domande, la guida è già ripartita e rischiamo di perdere il gruppo. 
Torniamo con souvenir e centinaia di foto con le quali cerchiamo di portarci via qualcosa di quei mondi che per noi continuano a restare estranei e incomprensibili.
Poi organizziamo una serata in cui mostriamo le nostre cinquecento diapositive agli amici - a chi non è capitato (di far parte degli amici, intendo dire).
E le foto mostrano ma non parlano.
E i nostri amici sopraffatti, affondano nel divano...
 E il mondo che ci circonda diventa sempre più opaco.
Ci sembrava, andando lontano, che le meraviglie del mondo ci sarebbero venute incontro, ma se non ci alleniamo a provare stupore, anche delle cose vicine e conosciute, il mondo resterà muto.
I due sognatori
Nella città persiana di Isfahan, viveva un tempo un contadino poverissimo. Come unico bene possedeva un’umile casetta bassa del colore della terra riarsa dal sole, davanti alla quale si stendeva un campo sassoso, alla cui estremità c’erano una fonte e un fico che costituivano tutta la sua ricchezza.
Quest’uomo, che lavorava molto per raccogliere poco, quando la meridiana stinta sulla facciata della sua casupola indicava il mezzogiorno, soleva fare la siesta all’ombra del suo fico. Un giorno, addormentatosi con la nuca contro il tronco del suo albero, fece un bel sogno. Gli pareva di camminare in una città popolosa, vasta, magnifica. Lungo il vicolo che percorreva indolentemente c’erano botteghe traboccanti di frutta e di spezie, di rami e di tessuti variopinti. In lontananza, contro il cielo azzurro, si innalzavano minareti, cupole, palazzi dorati. Il nostro uomo, contemplando in estasi quelle ricchezze, quelle bellezze e i volti affabili della folla circostante, giunse presto, nella luce e nella facilità di quel sogno benedetto, in riva a un fiume attraversato da un ponte di pietra. Avvicinatosi al ponte, si fermò di colpo, incantato: ai piedi del primo paracarro si trovava uno straordinario tesoro di monete d’oro e di pietre preziose in un grande forziere aperto. Udì allora una voce che gli disse:
- Ti trovi nella grande città egiziana del Cairo. Questi beni, amico, sono destinati a te.
Si erano appena accese tali parole nella sua mente che si svegliò sotto il suo fico, a Isfahan. Il contadino pensò subito che Allah lo amasse e desiderasse arricchirlo.« In verità, penso, questo sogno non può essere che il frutto della sua indulgente bontà. » Racchiuse in un fagotto le sue poche cose, nascose la chiave della sua casupola fra due pietre del muro e partì subito alla volta della terra d’Egitto per cercare il tesoro promesso.
Il viaggio fu lungo e rischioso, ma per grazia naturale il contadino aveva il piede saldo e una salute di ferro. Incontrò briganti, animali selvaggi, trappole lungo strada, e dopo tre settimane giunse finalmente alla grande città del Cairo, che era esattamente come l’aveva veduta in sogno.
Camminò negli stessi vicoli fra la stessa folla indolente, passando accanto alle stesse botteghe traboccanti di tutti i beni del mondo. Si lasciò guidare dagli stessi minareti, che si stagliavano in lontananza contro il cielo limpido. Arrivò così in riva allo stesso fiume attraversato dallo stesso ponte di pietra. All’entrata del ponte si trovava lo stesso paracarro. Lo raggiunse di corsa con le mani già protese alla ricchezza... ma lì non c’era che un mendicante, che gli tese la mano per chiedere un tozzo di pane. Del tesoro non c’era la minima traccia.
Allora il nostro inseguitore di sogni, allo stremo delle forze e delle risorse, si disperò.
« A che serve vivere ormai, si disse. In questo mondo non può capitarmi più nulla di auspicabile. » Con il volto inondato di lacrime, scavalcò il parapetto, deciso a gettarsi nel fiume. Il mendicante lo trattenne per un piede, lo riportò sul selciato del ponte, lo prese per le spalle e gli disse:
– Perché vuoi morire, povero sciocco, con un tempo così bello?
L’altro, singhiozzando, gli raccontò tutto: il suo sogno, il suo lungo viaggio, la sua speranza di trovare un tesoro. Allora il
mendicante si mise a ridere fragorosamente, si picchiò la fronte con il palmo della mano e, indicandolo all’intorno come un gran buffone, disse:
– Ecco il più grande idiota della terra. Che follia avere intrapreso un viaggio così pericoloso prestando fede a un sogno!
Mi credevo povero di spirito, ma, in confronto a te, mi sento saggio come un santo derviscio. Io che ti parlo, tutte le notti, da anni, sogno di trovarmi in una città sconosciuta. Il suo nome è, credo, Isfahan. In quella città. c’e una casupola colore della terra riarsa dal sole, dalla facciata modestamente ornata da una meridiana stinta. Davanti a tale abitazione si stende un campo sassoso, in fondo al quale si trovano una fonte e un fico.
Tutte le notti, nel mio sogno, scavo una buca profonda ai piedi di quel fico e scopro un forziere colmo fino all’orlo di monete d’oro e di pietre preziose. Mi sono mai sognato di rincorrere quel miraggio? No. Sono un uomo ragionevole, io. Sono rimasto a mendicare tranquillamente il mio pasto su questo ponte di grande passaggio.I sogni sono menzogneri, dice il proverbio. Saresti dovuto rimanere dove ti ha messo Dio. Va’, medita, e in futuro
sii meno ingenuo, vivrai meglio.
Il contadino, dalla descrizione fatta, riconobbe la sua casa e il suo fico. Con il volto a un tratto illuminato, abbracciò il mendicante sbalordito da quell’accesso improvviso di entusiasmo e ritornò a Isfahan di corsa, saltellando come un uomo pervaso da una gioia inesauribile.
Arrivato a casa, senza nemmeno aprire la porta, afferrò una zappa, scavò una grande buca ai piedi del fico e in fondo alla buca scoprì un immenso tesoro.
Allora, prosternandosi, disse:
– Dio è grande e io sono suo figlio.
Così finisce la storia.
Vedere oltre il visibile dicevamo... Come facciamo a lasciarci stupire da cose apparentemente insignificanti? A trovare le chiavi per “vedere”? E scoprire che il tesoro è nel nostro giardino?
Tonino Guerra, scrittore e uno dei più importanti sceneggiatori del cinema italiano racconta:
L' ultima lezione di sceneggiatura che ho tenuto a Mosca era sulla differenza tra guardare e vedere. Allora mi è venuto in mente un fatto che mi è successo. Faccio fermare la macchina su cui ero perché vedo una panchina, mi voglio avvicinare. Era una panchina di ferro diventata verde, piena di muschio. Ho cominciato a capire perché: la trattoria davanti era chiusa, nel giardinetto non andava più nessuno, la panchina soffriva di solitudine. E allora mi sono seduto e l' ho fatta lavorare. Ho voluto darle un po' di valore: solo allora stavo vedendo, prima guardavo.
Anche Tiziano Terzani in una delle sue ultime conversazioni ci parla di meraviglia:
Se dal nostro prato guardi questa valle meravigliosa e intatta, capisci che è stata una sponda che mi ha aiutato ad avere quello che io ho sempre cercato: un altro punto di vista.
Per me l'Orsigna è questo.  Questa è la mia Himalaya. Qui, in questo posto dove sono arrivato da bambino, ho sentito la magia della vita in generale e la magia della natura. Con la modernità, la magia retrocede, ma rimane in qualche modo negli alberi, nelle foreste, nei tramonti quando il sole cala dietro alla Pedata del Diavolo.
Mi piacerebbe vedere che i miei nipoti vivono in un mondo di cui si sorprendono, in cui c'è dovunque qualcosa di meraviglioso da osservare. 
Ieri sera ho visto la prima lucciola e sono stato lì, a guardarla. Nel buio della notte la vedevo fare ti-ti-ti...
Una gioia ti piglia! Mi ricordo di quante storie i miei mi raccontavano sulle lucciole quando ero piccolo. Dicevano che se ne acchiappavi una e la mettevi sotto il bicchiere, la mattina dopo ci trovavi una monetina. 
Loro ce la mettevano, la monetina, e il mio mondo si arricchiva. Allora, perché ai miei nipoti non far vedere le lucciole perché si stupiscano della meraviglia del mondo?
La natura gli si anima, la vita gli si arricchisce, vive in più dimensioni. Altro che la televisione e andiamo a mangiare la pizzettina!. 
Noi viviamo vite troppo di corsa, troppo piene di stimoli, continuamente distratti dal lavoro, dal telefono, la televisione, i giornali, non ci fermiamo mai. Chi si prende più degli spazi vuoti, del tempo per il silenzio? 
Sarebbe così semplice dire « Fermi tutti. Stasera si va a vedere le lucciole! »
Sei tu, tu che puoi scegliere!
Onestamente questo mondo è una meraviglia. Non c'è niente da fare, è una meraviglia. E se riesci a sentirti parte di questa meraviglia — ma non tu, con i tuoi due occhi e i tuoi due piedi; se Tu, questa essenza di te, sente d'essere parte di questa meraviglia - ma che vuoi di più, che vuoi di più? Una macchina nuova?
TIZIANO TERZANI La mia fine è il mio inizio, pag. 373)