La carovana
C’era una volta nella città del Cairo un povero ciabattino afflitto da una moglie insopportabile quanto l’aceto negli occhi. Si chiamava Maruf. Viveva senza piacere con le spalle curve sotto il fardello di canzonature meschine e di insulti chiassosi, che la sua rozza metà accumulava tutti i giorni su di lui. Se voleva abbracciarla, lei digrignava i denti. Se le tendeva la mano, lei metteva fuori le unghie. Se le parlava d’amore, lei lo mandava a farsi benedire. Una sera, lo schiaffeggiò con il discutibile pretesto di uccidere una pulce invisibile sulla sua guancia. Fu la goccia che fece traboccare la sua scodella quotidiana di zuppa con le smorfie. Il ciabattino decise dunque di andare a cercare la pace altrove.
Se ne andò per i vicoli, singhiozzando, con l’animo in tumulto e la fronte tormentata. Vagò senza meta fino a giungere a un edificio in rovina. Era un vecchio convento, dove si prese il volto tra le mani e si mise a pregare.
- Signore onnipotente e misericordioso, disse, portami via da qui, conducimi in un luogo al riparo dai dispiaceri! Durante tutta la notte ripeté tali parole. Mentre la luna declinava, un uomo alto sbucò all'improvviso dalle rovine. Il suo corpo era circonfuso di luce, come se nel suo cuore ardesse una candela.
- Sono l’Abdel Makan, il servitore del luogo, disse. Che cosa vuoi da me?
Maruf gli confidò le sue pene e la sua speranza. Quando ebbe parlato, l’Abdel Makan gli disse:
- Non temere.
Lo prese per il colletto ed entrambi spiccarono il volo nel giorno nascente. Sotto di loro passarono fiumi, battelli, deserti, villaggi. Viaggiarono a lungo tra gli uccelli stupiti. Eppure il sole usciva appena dalle brume quando Maruf si posò, come al termine di un sogno, in mezzo a un vicolo, fra carrettate di arance e di spezie. Chiese:
- Dove sono?
- Nella città di Ikhtiar.
- Ikhtiar?
La sua espressione sbalordita divertì la gente che lo circondava. Gli diedero delle gomitate. Gli chiesero:
- Da dove vieni?
Maruf indicò il cielo. Allora sogghignarono. Maruf rimaneva stupefatto e gli sputarono ai piedi. Presto cominciarono a strattonarlo. Maruf volle andarsene. Lo spinsero con violenza. Allora un uomo ben vestito si fece largo fra la folla gridando:
- Vergognatevi, abitanti di Ikhtiar! Siete dei cani per maltrattare così un viaggiatore sperduto? L’uomo trascinò Maruf verso un androne dalla volta ornata di vite vergine. Lo fece entrare in casa sua e gli offrì del tè. Dopodiché gli disse:
- Quando sono arrivato in questa città, ero povero come te. Sai che cosa ho fatto? Ho detto ovunque in città che ero ricco e che stavo aspettando una carovana carica di legni preziosi e di tessuti cinesi. Dando credito a tale voce, mi hanno prestato dell’oro che ho naturalmente promesso di restituire non appena mi fossero giunti quei tesori inventati. Con quell’oro ho fatto alcuni buoni affari, ho restituito i prestiti, ho fatto fruttare gli utili e in un anno di attività sono diventato un commerciante agiato. Prendi nel mio guardaroba un bell’abito ricamato (quando si chiede un prestito, bisogna ispirare fiducia!) e fa come ho fatto io.
Maruf ringraziò quel compagno insperato e si travestì da mercante rispettabile. Era un sognatore di alto bordo.
Sostenne di essere in attesa di meraviglie così rare che gli vennero aperte le porte di alcuni palazzi. Ma non per questo si arricchì, anzi... Era generoso, grave difetto per un uomo d’affari. Non sopportava il fuoco della miseria nello sguardo dei mendicanti. Distribuì dunque tutto l’oro preso in prestito. Perciò i ricchi si disputarono l’onore di essere suoi amici intimi. La sua carovana aveva qualche ritardo? - « Che importa, dicevano, un uomo abbastanza sicuro della sua ricchezza da sperperarla in opere di carità è degno certamente di infinita fiducia. »
Prese a prestito ancora. Ancora gli concessero prestiti. Ancora diede tutto ai poveri. Ancora pazientarono. Poiché la sua carovana continuava a non arrivare, alla fine cominciarono a dubitare. I suoi creditori si dissero: « Non è il suo oro che dona ai miseri, Dio santo, è il nostro! E se il buon Maruf fosse un impostore? »
Andarono a lamentarsi dal re della città.
« Un vero mercante, pensò il re, sa valutare il prezzo di una pietra preziosa. Mostrerò dunque a quell’uomo la mia perla più rara. Se ne conosce il valore significa che ne ha viste altre. E se ne ha viste altre, significa che non è il truffatore che dicono.»
Convocò Maruf.
- Amico, gli disse, guarda questo gioiello. Secondo te, quanto vale?
« Come laccio a saperlo? pensò Maruf. Vendo aria e non sassolini luccicanti come questo. Ma, se confesso la mia ignoranza, sono perduto!»
- Sire, rispose con il batticuore, la vostra perla è bella assai. Però, a paragone di quelle che trasporta la carovana che attendo, sia detto senza offendere la vostra gloria, non vale più di un ciottolo di fiume.
- Oh, davvero disse il re.
« Quest’uomo, pensò il sovrano, è mille volte più ricco di quanto immaginassi. Devo averlo come genero ».
- E’ un bugiardo, gli sussurrò il suo visir.
Il re gli ribatté;
- Oh, sei geloso. Ti sarebbe piaciuto molto che ti avessi offerto mia figlia. Sei rabbioso che abbia scelto Maruf, ecco tutto.
« I sogni finiscono, pensò Maruf. Accumulo i debiti e non guadagno nulla. Un giorno, finirò di certo in prigione. Sposare la principessa, per il pietoso imbroglione che sono, non sarebbe corretto. Che fare, Dio del Cielo? Guadagnare tempo, ancora». Disse al re:
- Signore, finché la carovana, il cui arrivo è imminente, non sarà nella mia casa, non potrò provvedere ai bisogni di una sposa principesca. Vi suggerisco dunque di rimandare la data del matrimonio.
« E’ davvero l’uomo più onesto che abbia mai conosciuto », pensò il re.
- Sposa mia figlia, gli disse. E’ un ordine. Abbracciami, figliolo.
Il sovrano invitò Maruf ad attingere a piene mani dal tesoro reale, in attesa della sua carovana. E Maruf attinse. Le sue nozze furono indimenticabili. Una pioggia d’oro discese sui diecimila mendicanti della città. I festeggiamenti durarono ovunque trenta giorni e trenta notti. Quando gli sposi novelli si ritirarono nei loro appartamenti, Maruf si tolse le scarpe, si massaggiò a lungo le dita dei piedi e disse alla sposa:
- Moglie, sono preoccupato. Abbiamo speso tante monete d’oro quante sono le stelle in cielo.
- Perché preoccupartene, gli disse la principessa, dato che la tua carovana arriverà presto?
Maruf la guardò. Lei gli sorrise, felice e fiduciosa. Allora il ciabattino decise di non mentirle.
- Moglie, le disse, la mia carovana è un sogno. Non esiste, non è mai esistita, non esisterà mai. Sono un impostore. Il visir ha ragione, benché mi abbia accusato per gelosia. E tuo padre mi ha concesso la tua mano per bramosia, ma che importa! Adesso che sai la verità, che cosa farai?
- La sposa non può disonorare lo sposo senza cadere anche lei nel disonore, rispose la principessa. Maruf, fidati di me. Prendi l’oro che ci resta e lascia il paese. Non appena potrò, ti raggiungerò.
Maruf le baciò le mani. Travestito da schiavo, uscì dalla città e imboccò un sentiero deserto.
L’indomani mattina, la principessa si recò nella sala del trono dove sedeva il re.
- Dov’è il tuo sposo? le chiese suo padre.
La principessa gli rispose.
- Sire, è dovuto partire. Dei briganti del deserto hanno attaccato la sua carovana. Ieri sera, un messaggero è venuto a dirglielo. Hanno ucciso cinquanta delle sue guardie e preso cento carichi dei cammelli, il che non rappresenta niente per lui. La sua ricchezza e così grande! Ma ha deciso di andare incontro a quei tesori per rassicurare i suoi e marciare alla loro testa.
- Che uomo! esclamò il re.
- Maestà, io sostengo che si tratta di un impostore, mormorò il visir.
La principessa salutò il padre e si ritirò nelle sue stanze.
Maruf, percorrendo veloce il suo sentiero, giunse all’alba sul ciglio di un campo che veniva arato da un uomo. Si sedette sull’erba, sotto un albero. L’uomo gli si accostò e gli chiese:
- Hai fame? Mi sembri stanco. Aspettami un attimo, vado a prendere pane e formaggio, laggiù, nella mia capanna, e faremo colazione insieme.
Si allontanò fischiettando una fresca melodia. Maruf pensò: «Questo compagno di miseria mi offre ciò che ha senza chiedermi nulla. Che cosa posso fare, io, per ricambiare? » Guardò il campo. « Arare un solco mentre è assente, pensò ancora, ecco il solo modo per ripagarlo della sua bontà. » Andò all’aratro, ne afferrò i manici e si mise a spingere. Aveva fatto appena tre passi che il vomere urtò una pietra. Si chinò, la sollevò e scoprì un buco. Si chinò ancora di più. Una scala sprofondava sotto terra. Scesi venti gradini, il ciabattino arrivò in una grotta alle cui pareti ardevano lampade eterne. Dovunque c’erano forzieri traboccanti d’oro, di diamanti, di gioielli. Maruf avanzò a braccia aperte fra quelle meraviglie. Il suo piede inciampò in una scatola. La raccolse, l’apri, vi trovò solo un anello. Lo prese e se lo strofinò contro la manica. Ne scaturì un fumo in cui prese forma un essere enorme. Non era un orco, aveva un’aria gentile.
- Padrone dell’anello, disse, sono il tuo servitore!
Si inchinò.
- Chi sei? chiese Maruf. A chi appartengono questi tesori?
- Il Padre della Felicita, è così che mi chiamano. gli rispose il jinn. Questi beni appartennero a Shaddad, figlio di Aad, vecchio re di questo paese.
Maruf gli ordinò di vuotare la caverna e di portare tutto nel campo, al sole del mattino. Fu fatto in un battibaleno.
Grazie alla magia del jinn, apparvero subito innumerevoli cammelli, asini, muli, cavalli, che vennero caricati da mille mamelucchi nati da una strizzatina d’occhio del Padre della Felicità.
Il contadino, tornato con la colazione, si prese la testa fra Ie mani credendo di perdere il senno.
- Mangiamo, gli disse Maruf.
Fecero colazione insieme con pane, formaggio e cipolle crude.
- Che cosa vuoi? gli chiese Maruf. Un castello? Delle serve?
- Una casa di pietra e quattro sacchi di grano da seminare nel mio campo, rispose l’uomo. Aravo per niente. Non avevo semente.
Il Padre della felicità si incaricò del lavoro.
Quella sera, Maruf entrò in città alla testa di una carovana straordinaria. La sua sposa alla finestra rimase sconvolta. Credette che il marito le avesse mentito per mettere alla prova la sua lealtà. Il re e i mercanti rimasero tutti notevolmente impressionati, ma poco stupiti; i tesori tanto attesi finalmente arrivavano. Non vi videro nulla di sorprendente. Solo il visir mugugnò che doveva esserci sotto qualche inconfessabile magia. Era invidioso. Lo presero in giro.
Così finisce la storia di Maruf e della sua carovana di sogni.
Amici, che la vostra arrivi un giorno in porto.
Come la sua.